Il piano del governo per contrastare il fenomeno delle attività “apri e chiudi” è arrivato: contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate, con possibile rischio di chiusura d’ufficio dell’attività ed una sanzione amministrativa di 3.000 euro. Con una modifica introdotta nell’iter parlamentare il professionista non risponderà in solido per la penalità di 3.000 euro, come originariamente previsto nel ddl di Bilancio. L’anno scorso l’Agenzia delle Entrate ne ha cessate d’ufficio quasi 6.000, più del doppio rispetto alle 2.400 circa del 2023. Il recupero di gettito ed il contrasto all’ evasione fiscale sono uno degli obiettivi del governo Meloni, che nella proposta di legge di bilancio 2023 ha previsto uno specifico capitolo dedicato alle c.d. partite iva “apri e chiudi“. L’evasione fiscale negli ultimi anni è arrivata anche da tantissime micro attività che hanno aperto, operato e chiuso, il tutto evadendo il pagamento di imposte dirette ed indirette con un danno alle casse dell’Erario importante. Ad operare con questo metodo collaudato spesso sono cittadini stranieri extra UE, che possono contare su una più difficile reperibilità nell’attività di riscossione coattiva delle imposte non versate. Si tratta, di soggetti irrintracciabili o comunque nullatenenti che aprono posizioni fiscali senza versare imposte (dirette ed indirette) e contributi, per poi chiudere la propria posizione prima che l’Amministrazione finanziaria possa procedere all’attività di accertamento e riscossione. Si tratta di fenomeni evasivi che vanno avanti da tempo ma sui quali non è stata ancora pensata una procedura di accertamento specifica. Il piano messo in piedi dal governo prevede: L’effettuazione di controlli a tappeto da parte dell’Agenzia delle Entrate, della Guardia di Finanza e dell’INPS sulle comunicazioni di apertura di nuove attività, con la previsione di un contraddittorio in ufficio per le attività ritenute a maggiore rischio evasione; La possibilità di chiusura d’ufficio della posizione fiscale in caso di esito negativo dei controlli; L’applicazione di una sanzione amministrativa dell’importo di 3.000 euro a carico del contribuente. Non è più prevista la responsabilità in solido del pagamento della sanzione per il professionista (intermediario) che ha trasmesso la richiesta di apertura della partita Iva.
Il soggetto che si vede chiudere d’ufficio la propria posizione ha, comunque, la possibilità di chiedere una nuova apertura. Tuttavia, in questo caso diventa condizione indispensabile la presentazione di una fideiussione bancaria o assicurativa dell’importo di 50.000 euro con validità triennale.
La posizione dell’intermediario
Inizialmente, nel ddl di Bilancio era prevista la responsabilità in solido del professionista per il pagamento della sanzione (non ravvedibile) di 3.000 euro in caso di esito negativo dei controlli. Esso veniva considerato come responsabile in solido del pagamento della sanzione amministrativa in caso di negligenze. Il provvedimento faceva riferimento agli intermediari negligenti che avevano trasmesso la domanda di attribuzione della partita Iva oggetto di cessazione d’ufficio. Il concorso dell’intermediario spettava solo ai sensi dell’art. 5, co. 3 – 4 ed art. 9 del D.Lgs. n. 472/97 ovvero in caso di dolo o colpa grave o concorso nella violazione. A meno che l’intermediario non potesse provare il proprio errore incolpevole, avendo adottato la diligenza connessa al proprio profilo professionale, come ad esempio l’adeguata verifica della clientela.
A seguito delle modifiche introdotte la responsabilità è solo a carico del contribuente e non graverà in solido anche sul professionista che ha presentato la dichiarazione di inizio attività, come era originariamente previsto.
Fonte: Fiscomania.com